Transizione digitale ed impatto ambientale
di Samir Landi
L’immobilismo al quale il mondo è stato costretto a causa della pandemia ha messo in evidenza la necessità di una ripresa non solo più “digitale” (così da favorire la ripresa di tutte quelle attività da tempo sospese) ma anche più “verde”. L’innovazione digitale sarà veramente una valida alleata per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente?

Ergendosi quale promotrice della rivoluzione digitale, la Commissione Europea ha presentato lo scorso 9 marzo 2021 la Comunicazione “2030 Digital Compass: the European Way for the Digital Decade”, con la quale ha prospettato obiettivi ambiziosi da perseguire entro il 2030 (e.g., “infrastrutture digitali sicure, efficienti e sostenibili”, “competenze digitali base per almeno l’80% della popolazione europea”, “trasformazione digitale delle imprese” e “digitalizzazione delle PA”).
Non si è fatta attendere la risposta dell’Italia per tramite del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale il quale, potendo usufruire di una fetta significativa del Recovery fund, ha fissato per il 2026 obiettivi ancora più ambiziosi quali: “identità digitale per almeno il 70% della popolazione”, “portare circa il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi in cloud”, “almeno l’80% dei servizi pubblici erogati online” nonché “raggiungimento, in collaborazione con il MISE, del 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra-larga”. In tal senso l’Italia si era già mossa in anticipo rispetto all’Europa con il D.L. 76/2020 “Semplificazione ed innovazione digitale”, convertita in L. 120/2020, che contiene delle previsioni normative per velocizzare il processo di trasformazione digitale del Paese.
Oramai, tutto sembra premere verso questa transizione digitale da tutti invocata a gran voce. Ma quale sarà l’impatto della rivoluzione digitale sull’ambiente?
Guardando ai dispositivi elettronici utili per l’attività digitale lungo il loro intero ciclo di vita, ci si rende conto non solo di quanto siano impattanti a livello ambientale, ma degli effetti disastrosi che avranno nel breve periodo, se non smaltiti correttamente. Partendo dalla fase della produzione e smaltimento dei dispositivi elettronici, evidenziamo sin da subito che per poter produrre un dispositivo ICT, occorrono molte componenti differenti tra loro, tali da richiedere notevoli investimenti in termini di materiali allo stato grezzo ed attività di trasformazione degli stessi.
La molteplicità delle componenti rende difficile la lavorazione dei dispositivi ICT quali “rifiuti elettronici”, dato che non solo il loro riutilizzo risulta difficile e costoso, ma lo smaltimento stesso oltre ad avere costi molto elevati, diventa molto pericoloso ed inquinante se effettuato in maniera non adeguata. Da una lettura del “Report Lean Ict — Towards Digital Sobriety” apprendiamo inoltre che l’utilizzo di questi dispositivi nonché delle infrastrutture ICT concorrono al 7% dell’emissioneglobale del CO2 e tale percentuale è destinata a raddoppiare nel prossimo decennio.
Visto il quadro generale fino ad ora delineato, appare indispensabile delineare una normativa chiara ed efficace volta a ridurre gli effetti negativi del digitale sull’Ambiente. A riguardo l’UE ha adottato la Direttiva WEEE 2002/96/UE, poi modificata dalla Direttiva 2012/19/UE, per la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, che ha tuttavia alimentato una massiccia esportazione di rifiuti elettronici verso l’Africa, nonché la Direttiva RoHS 2011/65/UE finalizzata a responsabilizzare le aziende nell’ottica di una produzione eco-compatibile, che ha sortito effetti quasi nulli, vista “l’obsolescenza programmata”, di cui sempre più spesso sentiamo parlare.
Appaiono dunque necessari nuovi interventi normativi volti a fronteggiare il sempre più crescente aumento di rifiuti elettronici ed al contempo delineare linee guida più chiare e definite per una produzione che salvaguardi l’Ambiente.
VOCABOLARIO
Recovery Fund: maxi-piano da 750 miliardi di euro per il rilancio dell’eeconomia europea post crisi pandemica. All’Italia andrà una quota pari a 209 miliardi, equivalente al 27,8% dell’intero importo. https://ec.europa.eu/info/strategy/recovery-plan-europe_it
MISE: Ministero dello Sviluppo Economico dotato di svariate competenze in materia di politica industriale, politica energetica e comunicazioni.
ICT: Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (in acronimo TIC o ICT, dall’inglese information and communications technology) sono l’insieme dei metodi e delle tecniche utilizzate nella trasmissione, ricezione ed elaborazione di dati e informazioni (tecnologie digitali comprese).
Report Lean Ict — Towards Digital Sobriety: Rivista scientifica che si occupa dello studio degli effetti del digitale e dei dispositivi ICT sull’ambiente.
Direttiva WEEE: Acronimo che sta per l’inglese “Waste of electric and electronic equipment”.
Direttiva RoHS: Acronimo che sta per l’inglese “Restriction of Hazardous Substances Directive”.
Obsolescenza programmata: politica commerciale diretta a limitare il ciclo di vita di un bene (prodotto o macchinario) sia mediante canoni di progettazione che ne rendano impossibile o eccessivamente costosa la riparazione sia tramite l’immissione sul mercato di versioni tecnicamente più evolute.

Samir Landi è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Salerno ed esercita la professione forense presso un noto studio legale della città di Salerno.
Dal 2019 ricopre l’incarico di Presidente dell’Ufficio Tecnico di “Ecomondo, Diritto&Ambiente”, associazione da sempre impegnata nella salvaguardia e tutela del patrimonio ambientale.
Dal 2020 è socio dell’Associazione Cammino — Camera Nazionale Avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni.